«Mio padre Ruggiero fu costretto a partire per la guerra»

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«Mio padre Ruggiero fu costretto a partire per la guerra»

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Ruggiero Graziano nasce il 7 marzo 1906 a Barletta. Nel 1930, Ruggiero sposa Savina Corvasce, dalla quale ha cinque figli: Lucrezia, Roberto, Anna, Giuseppe e Maria. Nel 1941, nonostante avesse 35 anni, Ruggiero è costretto ad arruolarsi ed è assegnato alla 150ª Legione Carli per poi essere assegnato rispettivamente alla 152ª Legione Camicie Nere d’Assalto e Legione D’assalto Ciclisti e partecipare ad azioni di guerra nel Mediterraneo. Trasferito in Sardegna nel maggio 1942, assieme al Battaglione Camicie Nere, partecipa ad azioni di guerra contro gli inglesi. In Sardegna, contrae la malaria, viene ricoverato ed inviato in convalescenza a Barletta. Riassegnato in Sardegna, partecipa alle azioni di guerra fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, quando è assegnato al 139° Reggimento Fanteria “Bari” e combatte contro le truppe naziste occupanti. Nel 1944 è imbarcato per fare ritorno a Barletta. Nel maggio del 1944, Ruggiero è riconosciuto inabile al lavoro a causa della malaria contratta, che aggrava la sua situazione cardiaca, fino alla sua morte a Barletta il 14 maggio 1954. Incontro suo nipote, Ruggiero Graziano, presidente Anmig (Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra) e Ancr(Associazione nazionale combattenti e reduci) sezione Barletta. In un pomeriggio estivo, andiamo a trovare la figlia di suo nonno Ruggiero, la signora Lucrezia (89 anni) e sua figlia Giuliana Laporta. Per l’occasione, pongo qualche domanda alla signora Lucrezia.

Signora Graziano, suo padre Ruggiero che lavoro svolgeva?

«Lavorava come meccanico nell’azienda di famiglia, la “Fonderia Graziano”, situata in via Trento a Barletta e fondata da mio nonno. Mio padre lavorava con gli altri suoi due fratelli. Allo scoppio della guerra, i miei due zii non poterono essere arruolati poiché uno era inabile e l’altro troppo giovane per partire. Nonostante mio padre fosse già sposato con prole, gli fu intimato di arruolarsi, pena la confisca dell’azienda».

Suo padre era preoccupato di partire per la guerra?

«Era preoccupato di lasciare la famiglia».

Una volta inviato in Sardegna, cosa gli successe?

«In Sardegna, rimase isolato con altri commilitoni a guardia di un presidio, fino all’armistizio dell’8 settembre del 1943. Senza cibo sufficiente, con acqua prelevata da un fiume contaminato dai cadaveri dei suoi commilitoni uccisi. In seguito, riuscì a scappare e ad imbarcarsi per tornare nel continente, per poi tornare a Barletta a piedi e con mezzi di fortuna».

Come avete vissuto in sua assenza?

«Nei due anni di assenza di mio padre, siamo vissuti nella miseria, che sento ancora sulla pelle. Mia madre, con tre figli da mantenere,  non riceveva alcun sussidio e l’azienda famigliare era chiusa a causa della guerra. Per sopravvivere, cuciva e faceva iniezioni in cambio di cibo. L’ho vista tante volte piangere di nascosto, ma riusciva sempre a tenerci allegri con la sua ironia e le sue barzellette, per non farci pesare la drammatica situazione».

Cosa ricorda dell’arrivo dei soldati nazisti a Barletta?

«Ricordo le porte e finestre chiuse al loro passaggio per evitare i saccheggi e le madri che nascondevano le figlie per non farle violentare. I tedeschi avevano il grilletto facile: sparavano ad ogni cosa si muovesse ».

Invece, dell’arrivo degli alleati, cosa ricorda?

«Ricordo le sirene antiaeree e le luci spente, dato che vivevamo in via Trento e li vicino, in via Canosa, c’erano un deposito di armi e munizioni, obiettivo dei bombardamenti alleati. Fortunatamente per noi, l’obiettivo non fu mai bombardato, in quanto gli alleati confusero via Canosa con la città di Canosa, che fu bombardata per errore».

 

 

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